Bild: © Kunsthalle Hamburg
Tagung/Conference: 2019, Dec. 11-14, Rome
„Music, Performance, Architecture. Sacred Spaces as Sound Spaces in the Early Modern Period”
International and Interdisciplinary Conference
Rome/Vatican City, 11–14 December 2019
Concept and scientific organisation
Klaus Pietschmann and Tobias C. Weißmann (Johannes Gutenberg University Mainz)
German Historical Intitute in Rome, Department of Music History
Conference venues
German Historical Institute in Rome
Biblioteca Vallicelliana
Biblioteca Apostolica Vatican
S. Maria in Vallicella
Apostolic Palace
Program and Abstracts
The program of the conference follows below.
You’ll find the abstracts for the talks at the bottom of this page.
Tagungsbericht
Wednesday, 11 December 2019
Biblioteca Vallicelliana, Salone Borromini
I. Bases: Music, Liturgy, Architecture
Klaus Pietschmann (Mainz)
Tobias C. Weißmann (Mainz)
Sabine Ehrmann-Herfort (Rome)
Jörg Bölling (Hildesheim)
Joseph Clarke (Toronto)
S. Maria in Vallicella
Introduction by Florian Bassani (Bern) and Christian Rohrbach (Mainz)
Concert by Barock Vokal – College for Ancient Music, University of Music Mainz
Thursday, 12 December 2019
German Historical Institute in Rome
II. Rome: Centre of Innovation
Noel O’ Regan (Edinburgh)
Martin Raspe (Rome)
Tobias C. Weißmann (Mainz)
Florian Bassani (Bern)
III. Audio-visual Performance in Theory and Practice
Roberta Vidic (Hamburg)
Emanuel Signer (Cambridge)
Federico Bellini (Camerino)
Keynote Lecture by Deborah Howard (Cambridge)
Friday, 13 December 2019
German Historical Institute in Rome
IV. Polychorality and Architectural Staging as a European Phenomenon
Massimo Bisson (Venice)
Elisabeth Natour (Regensburg)
Simon Paulus (Stuttgart)
Anne Holzmüller (Freiburg i. Br.)
Bibliotheca Apostolica Vaticana, Sala Barberini
V. Collegium Cantorum and Singer Pulpit of the Sistine Chapel
Arnold Nesselrath (Berlin/Rome)
Klaus Pietschmann (Mainz)
Bibliotheca Apostolica Vaticana, Salone Sistino
Final discussion and presentation of the exhibited music manuscripts
Saturday, 14 December 2019
Apostolic Palace
Visit for active conference participants only
Beginning in 15th century Italy, the polychoral musical performance practice and new compositional developments in church music required the modification of venerable churches and the integration of music spaces in new sacred buildings. This multifaceted change correlated with the rite and mass piety and enduringly affected the experience of liturgy and music. The most distinctive impact of this progress is epitomised by the installation of singer balconies and organ galleries on which top-class music ensembles and organists often performed and which served as stages for musical excellence. The permanent display of music advanced to become a core segment of sacred architecture while the potential of these spaces to promote identification becomes evident in numerous graffiti, as the singer pulpit in the Sistine Chapel in the Vatican exemplifies.
The conference explores the complex interdependencies between architecture, acoustics, musical performance practice and rite in the interdisciplinary discourse between musicology, art and architecture history. The congress is organised by the research project “CANTORIA. Music and Sacred Architecture” (Mainz) and the German Historical Institute in Rome in cooperation with the Bibliotheca Apostolica Vaticana and the Biblioteca Vallicelliana. A lecture-concert in S. Maria in Vallicella with polychoral Roman church music of the 17th century will prove the interrelation of music, architecture and acoustics at an authentic space.
Abstracts
Florian Bassani (Bern): Das ‘Ende der Mehrchörigkeit’ – Eine musikalische Stilwende und ihre baulichen Folgen
Ein konkretes ‘Ende’ der mehrchörigen Kompositions- und Aufführungspraxis in Rom ist begreiflicherweise nicht mit Genauigkeit festzumachen – wie sich denn auch der Beginn des jahrzehntelangen Prozesses, der zur Etablierung des konzertierenden Stils führt, nicht mit einem bestimmten Ereignis oder dem Auftreten einer prägenden Persönlichkeit als historischem ‘Wendepunkt’ verbinden lässt. Dagegen sind sowohl der Status ante quem als auch der post quem relativ einfach zu fassen. Allerdings sind es nicht nur musikalische Quellen, die hier eindeutige Stilmerkmale aufweisen und damit Orientierung ermöglichen; auch architektonische Zeugnisse markieren einerseits den Ausgangspunkt, wie sie andererseits den abgeschlossenen, unumkehrbaren Vollzug der Entwicklung sichtbar machen.
Die Pole dieser Entwicklung sind zum einen die um die Mitte des 17. Jahrhunderts florierende Praxis und Ästhetik einer festlichen Kirchenmusik mit zahlreichen – bis hin zu zwölf – separaten Standorten, die das liturgische Geschehen flankieren; zum anderen eine Musikpflege, die das Spiel mit den dynamischen Effekten des instrumentalen Concerto Grosso auch in der vokalen Sakralmusik in den Vordergrund stellt, und zwar mit kaum minder zahlreichen Kräften, doch nun auf einen oder zwei Standorte im Raum konzentriert. Was zwischen beiden ‘Stilperioden’ liegt, ist ein allmählicher, heterogener Wandel, der sich über einen Zeitraum von mehr als zwei Generationen erstreckt.
Mein Beitrag skizziert diesen Veränderungsprozess am Beispiel musikrelevanter Quellen einerseits und verschiedener Kirchenräume andererseits. Ein besonderer Fokus liegt auf der römischen Jesuitenkirche Sant’Ignazio, die durch ihre ausserordentlich lange Bauzeit – mit fast hundert Jahren zwischen Grundsteinlegung und Weihe – nicht nur das Werk mehrerer Architektengenerationen ist. Durch den enormen Spagat zwischen Planung und Umsetzung der musikbezogenen Infrastrukturen nehmen gerade an Sant’Ignazio wesentliche Aspekte dieses musikalischen Wandels auch in baulicher Hinsicht Gestalt an.
Federico Bellini (Camerino): The Design of the Music-Space in Roman Baroque Churches and Oratories
La forma architettonica della musica non riguarda solo singoli oggetti come cantorie o casse d’organo, ma coinvolge lo spazio architettonico, la cui stessa percezione è condizionata dal suono. Nel caso dell’architettura sacra, il suono è presente nelle forme della Parola recitata e della Parola cantata, come è ben noto agli studi sui templi protestanti. Un fenomeno del tutto analogo è però verificabile anche in ambiente cattolico, e a Roma in particolare: la stessa liturgia cattolica induce i partecipanti a un’esperienza multisensoriale dello spazio religioso, che coinvolge anche il tatto, in qualche caso persino l’olfatto. Ma certo è l’udito il senso più coinvolto nell’esperienza extra-visiva dello spazio architettonico.
A seguito all’apprezzamento sempre crescente delle messe cantate e musicate, nell’ultima parte del Cinquecento gli architetti romani, sollecitati dalla committenza, iniziano a prevedere cantorie e tribune d’organo fisse in chiese e oratorî. Già nel 1598 Giacomo Della Porta allestisce nel transetto di San Giovanni in Laterano (1597-1600) un ambiente monumentale, la Nave Clementina, che deve la sua unità spaziale anche alla sonorità della grande tribuna d’organo. È però dal pontificato di Paolo V che cantorie e organi vengono formalmente integrati nei nuovi spazî religiosi, e previsti sin dalla fase ideativa: la cappella Paolina a Santa Maria Maggiore (1606-16) viene dotata di quattro coretti che erano invece assenti nella Sistina (157-88), e negli stessi anni i matronei del Gesù sono trasformati in cantorie fisse (1615-16).
In parallelo all’evolversi delle pratiche musicali dalla policoralità alle forme concertate, il barocco romano si dedicherà a definire lo spazio musicale con più ampî mezzi formali, e in misura sempre più ambiziosa: Santi Luca e Martina (iniziata nel 1635) ha 4 cantorie, Sant’Agnese in Agone (iniziata nel 1652) ne ha 8, più una tribuna d’organo di controfacciata; Santa Maria in Campitelli (1662-67) sarà dotata di 13 cantorie, gerarchicamente distinte per posizione e rango; SS. Apostoli (1702-17) arriverà a 15 cantorie, che potevano funzionare separatamente per accompagnare le singole messe alle cappelle private delle navate laterali. In alcuni casi maggiori, il progetto dello spazio sonoro viene addirittura studiato per sottolineare la simbologia dello spazio architettonico, come nel caso di Sant’Ivo alla Sapienza, in cui le cantorie sono collocate per contribuire a esprimere la trinitarietà dell’impianto.
Con la fine del ciclo della musica policorale, e l’avvento delle pratiche concertate, si assiste infine alla monumentalizzazione delle grandi cantorie d’organo, talora a doppio ordine per ospitare separatamente concertino e concerto grosso (si pensi a Santa Maria della Vittoria o alla Maddalena): è l’ultimo contributo della cultura barocca romana al progetto dello spazio musicale negli edifici sacri, e alla sua spettacolarizzazione visuale e plastica.
Massimo Bisson (Venedig): Architettura e spazi per la musica nelle chiese veneziane: tradizioni, resistenze e innovazioni nella prima età moderna
Venezia rappresenta senza dubbio uno dei casi studio più articolati e variegati sul tema del rapporto tra musica e architettura sacra, non solo per la grande quantità di chiese (circa 150 nell’età moderna) ma anche per la varietà di istituzioni ecclesiastiche che vi si trovavano (cir- ca 80 chiese conventuali, poco più di 50 collegiate e una ventina di parrocchiali).
Le numerose ricerche musicologiche finora compiute confermano sempre più nettamente il carattere eccezionale dell’attività liturgico-musicale di San Marco. Un po’ di confusione, tut- tavia, sussiste ancora circa l’impiego degli spazi destinati ai cantori e ai musicisti nella cap- pella del doge, ancor più se si considera la loro evoluzione tra il primo Rinascimento e le epo- che più recenti. Assai dubbio, come evidenziano le uniche fonti disponibili, appare fra l’altro l’impiego a scopo musicale delle due balconate sansoviniane.
Se, da un lato, non tutto è chiaro circa gli spazi musicali della chiesa più rappresentativa della città, assai meno si conosce sulla situazione delle altre chiese veneziane. Da una disamina ge- nerale, appare comunque evidente che nel Cinquecento pochissime di esse erano dotate di cantorie fisse vere e proprie, oltre alla balconata dell’organo, la quale a sua volta era spesso troppo ristretta per poter ospitare gruppi di musicisti e cantori. Persino le sontuose chiese pal- ladiane di San Giorgio Maggiore e del Redentore non mostrano traccia di riflessioni architet- toniche in tal senso. Solo il progetto – sfortunatamente non realizzato – di Vincenzo Scamozzi per la chiesa della Celestia sembra tenere in debito conto le esigenze dei più recenti repertori musicali nella concezione spaziale dell’edificio.
La situazione non appare diversa nel Seicento, secolo in cui alcune importantissime chiese della città vengono fondate ex novo (come Santa Maria della Salute, San Nicolò da Tolentino, Santa Maria di Nazareth detta degli Scalzi) o ricostruite (tra cui la cattedrale di San Pietro di Castello, San Nicolò del Lido, le parrocchiali di San Bartolomeo, San Moisè e San Marziale). Va dunque notato che, a differenza delle contemporanee chiese romane – dove si sviluppano sistemi multipli di cantorie e organi perfettamente integrati nel progetto generale dell’edificio, come a Santa Maria in Campitelli – in quelle veneziane (nonostante la notevole complessità del repertorio policorale e concertato raggiunta da compositori come i Gabrieli, Monteverdi e Cavalli) le strutture fisse per la musica mantengono una disposizione molto essenziale: fino a tutto il Settecento, nella stragrande maggioranza dei casi, ci si limitava infatti alla sola canto- ria dell’organo.
Il mio intervento – dopo una disamina generale sulla situazione delle chiese della città – pren- derà in esame alcuni progetti significativi relativi a edifici realizzati, modificati o semplice- mente ideati nel Cinquecento e nel Seicento, evidenziando quale influsso potessero rivestire le esigenze delle performance musicali nella concezione generale dello spazio sacro. Cercherò inoltre di comprendere l’impatto visivo e funzionale che i nuovi allestimenti spaziali avevano nella godibilità del repertorio musicale, considerando anche le limitazioni liturgico- disciplinari imposte dall’autorità ecclesiastica.
Alle riflessioni relative agli spazi architettonici fissi, si aggiungeranno quelle sulle architetture effimere. In occasione di celebrazioni solenni che prevedevano la presenza di ampie compa- gini musicali (visite del doge o del papa, funerali di personaggi illustri, feste dei santi patroni, vestizione di monache, eccetera), anche a Venezia – seppure in tono forse minore rispetto a Roma – tali allestimenti architettonici rappresentavano un espediente assai ricorrente, capace cioè di rivoluzionare lo spazio dell’edificio e trasformarlo in uno vero e proprio teatro per la musica.
Jörg Bölling (Hildesheim): ‚ex qua omnes exemplum sumere debent’. Zur vor- und nachtridentinischen Rezeption von Liturgie, Musik und Architektur der ’cappella papalis’
Der Begriff „cappella papalis“ diente einschlägigen, vor allem musikwissenschaftlichen Forschungen zufolge im 16. Jahrhundert zur Bezeichnung dreier verschiedener, zugleich aber auf das Engste miteinander zusammenhängender Phänomene: des architektonischen Raumes der Sixtinischen Kapelle, der Liturgie eines feierlichen Papstamtes, schließlich des Personenverbandes der dabei mitwirkenden Kleriker und Sänger. Bis ins frühe 16. Jahrhundert kann dieses Konzept der Papstkapelle in Architektur, Liturgie und Musik als eines unter vielen anderen in ganz Europa verstanden werden, die allesamt jeweils Ausdruck kirchlicher, höfischer, städtischer oder imperialer Kulturentwicklung waren. Die Adaption des Kurialritus wurden im Laufe des Mittelalters nur durch einzelne Anfragen an die römischen Behörden erlaubt und lediglich in begrenztem Maße, etwa durch die Franziskaner, auch außerhalb Roms rezipiert. Entsprechendes lässt sich für Musik und Architektur feststellen. Dabei vollzog sich die Rezeption meist nicht im Verbund von Musik, Architektur und Liturgie, sondern jeweils mit Blick auf Interessen an ganz bestimmten musikalischen Kompositionen, besonderen architektonischen Elementen oder gezielt ausgewählten, mitunter nur für die eigene Kenntnis ohne Adaptionsabsichten bestimmten liturgischen Zeremonien. Wie im Kirchenrecht führten auch in der liturgischen Praxis in erster Linie äußere Anfragen an Kurie und Papst zu deren Bedeutungszuwachs und – mit Ausnahme christlicher Mission als ganzer und weniger Einzelphänomene – kein in sich geschlossener päpstlicher Plan einer allgemeinen Verbreitung.
Mit dem Konzil von Trient (1545-1563) änderte sich die Bedeutung der ‘cappella papalisʼ jedoch grundlegend, und zwar sowohl innerhalb als auch außerhalb Italiens. Nun galt der römische Ritus sogar in sämtlichen Diözesen und Orden der Welt als verbindliches Vorbild, sofern nicht regionale oder religiose Gottesdienstformen älter als 200 Jahre waren. Das Konzil rekurrierte dabei auf die schon bestehende kuriale Praxis.
Besonders deutlich lässt sich dieser grundlegende Wandel am posttridentinischen Zeremoniale für die Bischöfe aufzeigen. Den Ursprungstext verfasste Anfang des 16. Jahrhunderts der päpstliche Zeremonienmeister Paris de Grassis noch auf äußere Anfrage des Erzbischofs von Bologna hin, der die römischen Zeremonien in seiner eigenen Kathedrale einführen wollte. Paris de Grassis nimmt in diesen Text auch zahlreiche Notenbeispiele für den Gesang des Accentus auf. Seine Aufgabe für Bologna bezeichnet er in diesem Zusammenhang als die eines Architekten, der die Maße der Sixtinischen Kapelle auf die örtlichen Verhältnisse zu übertragen habe, und zwar durchaus buchstäblich, hinsichtlich der Abmessungen des Vorbildbaus. Als sein amtlicher Nachfolger Franciscus Mucantius dieses Werk 1564 im Druck herausbrachte, rekurrierte dieser auf die durch das Trienter Konzil bedingte weltweite Bedeutung der päpstlichen Kapelle, die alle zum Vorbild nehmen müssten: „ex qua omnes exemplum sumere debent“. Mit dem „Caeremoniale episcoporum“ von 1600 erreichte das bischöfliche Zeremoniale seine letzte entscheidende Veränderung und blieb in dieser Version bis zum Zweiten Vatikanischen Konzil (1962-1965) unumschränkt gültig. Dadurch wurde es auch für Architektur und einstimmige wie mehrstimmige Musik maßgeblich.
Joseph L. Clarke (Toronto): Clamours in Print: Theorizing Echo in Early Modern Church Architecture
Europeans’ understanding of acoustics in churches was transformed by the rise of printed books. The ability to reproduce diagrams precisely enabled natural philosophers to develop and disseminate elaborate geometric analyses of acoustic effects and ambitious proposals for shaping and controlling sound in buildings. In the first half of the seventeenth century, Giuseppe Biancani, Mario Bettini, and Marin Mersenne all published illustrated books in which they studied the spatial effects of echo through carefully drawn diagrams, analyzing it mathematically and theologically.
Athanasius Kircher built on their work with his own theory of “echotectonics,” published in 1650. He positioned his research on the spatial character of sound alongside his innovative account of musical affect. With both investigations, he aimed to reveal the capacity of auditory experience to provoke emotion and wonder. His study of the systematic spatial control of sound was a dual celebration of the occult powers of sound and of the rationalizing capacity of geometric order. Kircher developed his theory with an eye (and an ear) to contemporary architectural developments. Among his most imaginative acoustic ideas was a building in which the echoing voices of a small church choir might simulate the presence of additional choirs singing in counterpoint. Although this idea appears far from realistic, Kircher remarked that the Roman church of San Giacomo in Augusta seemed so well suited to echo effects that one could almost believe its architects had this purpose in mind. The building, designed by Francesco da Volterra and Carlo Maderno, was among a handful of innovative early modern churches based on an elliptical floor plan.
Sabine Ehrmann-Herfort (Rom): Cantoria – coretto – palco? Zur Terminologie kirchenmusikalischer Aufführungsorte in der Frühen Neuzeit
Kirchenmusikalische Aufführungsorte der Frühen Neuzeit haben viele Bezeichnungen, die häufig nicht trennscharf voneinander unterschieden werden können, zumal die entsprechenden Benennungen auch lokal differieren. Der Vortrag stellt eine Auswahl aus dem Bezeichnungsspektrum für Aufführungsorte mehrstimmiger Kirchenmusik vor. Dabei ist signifikant, dass diese Musikorte stets mit einer erhöhten Positionierung der Ausführenden, Sänger wie Instrumentalisten, verknüpft sind. Zudem finden sich die vielfach benutzten Bezeichnungen „cantoria“, „coretto“ sowie „palco“ häufig in eher informellen Texten und kaum in den musiktheoretischen Schriften. Der Diskrepanz zwischen aufführungspraktischer Verwendung und fehlender theoretischer Reflexion geht der Vortrag anhand der Benennungen „cantoria“, „coretto“ und „palco“ nach.
Anne Holzmüller (Freiburg i. Br.): „Töne aus einer unsichtbaren Region“ – Über einige protestantische Nachbildungen römischer Klangarchitektur im 18. Jahrhundert
Sängeremporen mögen Kirchenmusikern in der Renaissance erstmals eine künstlerische Präsenz und Sichtbarkeit im Kirchenraum ermöglicht haben, doch die Sängerkanzel in der Sixtinischen Kapelle in Rom wurde für protestantische Romreisende um 1800 vor allem als architektonisches Medium eines „unsichtbaren Klanges“ zum Faszinosum. In der bei Gästen besonders beliebten Karfreitagsliturgie erklang gegen Ende G. Allegris Miserere-Vertonung bei fast vollkommener Dunkelheit, sodass zahlreiche Quellen den überwältigenden Effekt beschrieben, die Musik breche von der verborgenen Loge wie aus dem Nichts herein (u.a. von der Recke 1801, Mdme de Stael 1804/05). Im Jahr 1830 beschreibt Felix Mendelssohn ein besonderes kirchenmusikalisches Erlebnis in einer anderen römischen Kirche, dem Frauenkonvent in Trinità dei Monti, und auch er führt den großen Effekt des Gesangs der Ordensschwestern hauptsächlich darauf zurück, dass er die hinter dem Chorgitter im Chorraum verborgenen Sängerinnen nicht sehen konnte (an Hauser, 8./9.12.1830). In dieselbe Klangästhetik spielen neben verborgenen Schallquellen auch Nachhall und Echoeffekte hinein. Zeugnis hierüber legt wieder etwas verspätet, aber denkbar anschaulich Mendelssohn in Rom ab, indem er die sagenhaften Halleffekte der unter der Kuppel von St. Peter singenden Papstkapelle preist, deren Gesang ihn ansonsten nicht überzeugt: „Woran kein Musiker zu denken wagt, bringt der Petersdom zustande.“ (an Zelter, 18.12.1830).
In all diesen Beispielen zeichnet das Zusammentreten von Kirchenarchitektur und katholischer Liturgie bzw. Kirchenrecht verantwortlich für den Effekt. Die protestantischen Hörer verbanden damit jedoch eine spezifische Klangästhetik: ein quasi akusmatischer, unsichtbar hallender Klang, der direkt aus dem Jenseits zu kommen scheint.
Wo dieses jenseitig-hallende Klangideal im 17. Jahrhundert minutiös beschrieben und errechnet wurde (v.a. bei Athanasius Kircher 1662 und 1684), widersprach es hingegen dem protestantischen Standard des 18. Jahrhunderts in vieler Hinsicht: Es stand nicht nur der lutherisch-theologischen Ausrichtung an Textverständlichkeit entgegen, sondern auch dem zeitgenössischen barocken Kirchenbau, der entsprechend auf akustischer Transparenz und Nachhall in tendenziell höheren Frequenzbereichen ausgerichtet war (Meyer 2014).
In meinem Vortrag möchte ich argumentieren, dass diesen Umständen zum Trotz das kirchenarchitektonisch und liturgisch evozierte Ideal eines jenseitig-ätherischen Klangs bereits im 18. Jahrhundert zum Anlass für architektonische, aufführungspraktische und kompositorische Neuerungen im Umfeld protestantischer Kirchenmusik wurde. Dies möchte ich anhand ausgewählter Beispiele zeigen, so v.a. der Architektur der 1756 neugebauten Ludwigsluster Konzertkirche, die den ‚unsichtbaren Klang‘ der Sistina und der Klosterkirchen in architektonisch-akustische Infrastruktur übersetzte, und in C.P.E. Bachs doppelchörigem Heilig (1776), das für seine Hall- und Raumeffekte auch die architektonischen und akustischen Bedingungen der 1762 nach protestantisch-barocken Maßgaben neu errichteten Hamburger St. Michaeliskirche zu nutzen wusste.
Deborah Howard (Cambridge): Voices from Heaven: Singing from on High in Venetian Churches in the Cinquecento
This paper considers the acoustic merits of singing from raised platforms in Venetian churches. These structures varied according to the age and function of each church; and the acoustic results also depended on the type of music performed and the number and pitch of the voices.
San Marco presented a range of raised singing positions, each offering different acoustic possibilities. The medieval cantoria in the chancel was superseded in the sixteenth century by a pair of raised pergoli facing each other, designed by Jacopo Sansovino. At the head of the nave in front of the iconostasis the hexagonal pulpit known as the bigonzo was also used by singers.
A number of monasteries and nunneries in Venice had raised singing galleries across the nave near the west end. This type of raised choir was known as a barco. In the Franciscan church of the Frari, a stone tramezzo across the nave in front of the choirstalls was used for religious drama and music for voices and/or organ, as well as for preaching.
In smaller, more compact parish churches, the organ loft was usually located above the entrance at this period, and small numbers of singers would often join the organist in this position.
Finally in the state hospitals, all four of which included orphanages, female orphans were taught music to a very high standard and become renowned for their musical expertise. Hidden from public view, they sang from behind iron grilles in elevated singing galleries. Because their music was a significant asset to the institutions’ fund-raising, the churches were gradually modified over time to increase the effectiveness of the acoustics.
The choral music ranged from plainchant to elaborate polyphony, often in split choir (coro spezzato) formation. The lecture will be illustrated by musical extracts recorded in situ in Venice by the choir of St John’s College, Cambridge.
Elisabeth Natour (Regensburg): Celebrating ‚Appolo’s solemnities‘? Der Streit um die Kathedrale von Durham im Kontext der Neugestaltung des anglikanischen Kirchenraums, ca. 1620¬¬–1640
Das Phänomen der Sichtbarmachung von Musik im Altarraum fiel in eine Zeit, in der Musik als Mittel der Appropriation von Raum im höfischen Kontext auf einem Höhepunkt angelangt war. Wie verhielten sich nun die Bereiche in einem Land zueinander, in dem die Ausgestaltung der weltlichen und geistlichen Sphäre in der Person des Königs als Oberhaupt der Kirche zusammentrafen? In einer Polemik gegen die Änderungen, welche der Bischof von Durham, Richard Neile, seit seinem Amtsantritt 1617 in Liturgie und Gestaltung seiner Kathedrale vorgenommen hatte, schäumte der ehemalige Kaplan seines Vorgängers, Peter Smart:
“Nay the Sacrament it selfe is turned well neare into a theatricall stage play, that when mens minds should be occupied about heavenly meditations, of Christs bitter death and passion, of their owne sinnes, of faith and repentance, of the ioyes of heaven, and the torments of hell. At that very season, very unseasonably, their eares are possest with pleasant tunes, and their eyes fed with pompous spectacles, of glistering pictures, and histrionicall gestures, representing vnto us Appolo’s solemnities in his Temple at Delos…” [Peter Smart, The Vanitie & Downe-Fall of Superstitious Popish Ceremonies […], Edinburgh [=London], 1628, STC, 2. Ausgabe, No. 226403, S. 24]
Was Smart monierte, war die Inszenierung des Gottesdienstes als weltliches Spektakel. Statt eine Rückbesinnung auf das Göttliche zu ermöglichen, wurde die Kirche aus Sicht Smarts zur Theaterbühne des Weltlichen, in welcher Musik einen Kern des Anstoßes bildete, sowohl – und dies ist das Besondere an dem Ausgangspunkt, den Smart wählte – in ihrer performativen Wirkung als auch in der sichtbaren architektonischen Dominanz des Kirchenraums. Auf Smarts Traktat folgte eine polemische Kontroverse in den Druckschriften, die sehr bald landesweite Kreise zog und erst mit der Verhaftung des Erzbischofs William Laud beendet war.
Um zu verstehen, warum der Streit über die Kathedrale von Durham eine derartige polemische Wucht entfalten konnte, wird die Kontroverse in den spezifisch englischen Kontext der virulenten Debatten um die Grenzen der königlichen Macht am Vorabend des englischen Bürgerkriegs eingebettet. In den Polemiken diente das Verhältnis sakraler und höfischer Architektur im Prozess der Neugestaltung des Kirchenraums der 1630er Jahre unter William Laud als Indikator für die Durchsetzung königlicher Machtansprüche, deren Angemessenheit in Frage gestellt wurde.
Zum anderen wird anhand der Radikalisierung der Schriften gezeigt, wie die Ausgestaltung des Kirchenraums als eine Verstetigung des dominierenden Wahrheitsanspruchs interpretiert wurde, deren materielle Entsprechungen Altar, Kanzel, und Orgel, eine performative Praxis des Musikalischen erforderte, der diese Dominanz hörbar verstärkte. Der Konflikt um die Ausgestaltung des Kirchenraums und seiner klanglichen Nutzung in Durham dient als Hintergrund, vor dem die polemisch zugespitzten Hör- und Sichteindrücke der Zeitgenossen explizit greifbar und analytisch zuzuordnen sind. Er erlaubt Einblick in eine zeitgenössische Vorstellung von Macht als Verbindung von Klang, Raum und Sprache.
Noel O’Regan (Edinburgh): ‘Architecture, Acoustics and performance practice in Roman confraternity oratories in the early modern period’
Sacred music in early modern cities had three main loci of performance: streets and piazzas for processions; churches for Mass, Vespers and other liturgical celebrations; oratories for private devotional services. This paper will concentrate on the third of these, and on Roman confraternity oratories in particular. Designed as private spaces for meetings, office recitation and private devotions, they were opened up to selected members of the public from the later 16th century, particularly for weekly Lenten services. These showcased musical performance, both large and small in scale, leading eventually to dialogues and oratorios. Archival documents record payments for erecting and moving temporary platforms, hiring and moving organs, and building more permanent platforms and galleries for singers and instrumentalists. While we don’t know the exact placing of singers and players, we can make some educated guesses. The acoustics of these relatively small buildings would have been taken into account, but protocol surrounding the placing of Cardinals and members of the aristocracy also needed to be observed. This paper will examine aspects of performance and acoustics in Rome’s oratories, as well as some smaller churches also used during Lent, seeking to establish the extent to which architecture and acoustics influenced performance practice.
Simon Paulus (Stuttgart): „damit nicht nur der Laut deutlich unter die Zuhörenden falle“ – Musik, Raum und Klang im protestantischen Kirchenbau ab 1600
Aus architekturhistorischer Sicht ist das Wechselverhältnis zwischen Musik, Akustik, Raum und Architektur in seinen entwicklungsgeschichtlichen Dimensionen bisher kaum systematisch untersucht worden. Hinsichtlich raumakustischer, funktionaler oder gestalterischer Abhängigkeiten beschränkt sich die bisherige Forschung auf einige wenige Studien, zumeist zum Theaterbau. Während von Seiten der Musikwissenschaft besonders im Hinblick auf die historische Aufführungspraxis immer wieder auch der Aufführungsraum und seine klanglichen Bedingungen in die Betrachtung mit einbezogen werden, hat die Thematik auf Seiten der Kunst- und Baugeschichte, der Bauforschung, der Bautechnikgeschichte oder der Architekturtheorie kaum Beachtung gefunden.
In meinem Beitrag möchte ich aus Sicht der Architekturgeschichte drei methodische Ansätze vorstellen und am Beispiel des protestantischen Kirchenbaus in der Frühen Neuzeit – mit dem Fokus auf Norddeutschland und den Niederlanden – zusammenführen: 1) Den praxeologischen Ansatz mit einer Betrachtung des Verhältnisses von Planungs- und Baupraxis und musikalischer Aufführungspraxis; 2) die Wechselwirkungen und Einflüsse auf die Architekturtheorie des Kirchenbaus (u.a. bei L. C. Sturm oder J. Furttenbach) und nicht zuletzt 3) den wissenstheoretischen Ansatz der Akustik: Als ein Schlüsselwerk dieser Entwicklung darf Athanasius Kirchers „Phonurgia nova“ (1673) gelten, die besonders in deutscher Fassung als Neue Hall- und Thon-Kunst oder Mechanische Gehaim-Verbindung der Kunst und Natur durch Stimme und Hall-Wissenschafft gestifftet“ (1684) die Akustik als neues Wissenschaftsfeld erschloss.
Ausgangspunkt der Betrachtung soll die Wolfenbütteler Hofkirche Beatae Mariae Virginis sein, die zwischen 1608 und 1624 als erster protestantischer Großkirchenbau nach Plänen des Baumeisters Paul Francke errichtet wurde. Ihre Planungs- und Bauzeit fällt mit dem Wirken zweier bedeutender Komponisten zusammen, die am Wolfenbütteler Hof angestellt waren: Michael Praetorius und Daniel Selichius. Praetorius wirkte zunächst ab 1593 als Kammerorganist und ab 1604 als Hofkapellmeister bis 1620 am Wolfenbütteler Hof. Auf seine Bedeutung als Vermittler der italienischen Kompositions- und Aufführungspraxis mehrchöriger Kirchenmusik mit Generalbass, die er für die lutherische Liturgie adaptierte, muss hier nicht besonders hingewiesen werden. Ein besonderes Augenmerk verdient vor der Fragestellung der Tagung sein weniger bekannter Nachfolger Daniel Selichius, Kapellmeister in Wolfenbüttel zwischen 1621 und 1626, vor allem wegen seiner groß besetzten Geistlichen Konzerte, die zu den frühsten Drucksammlungen dieser Art im protestantischen Raum zählen und auf dem gezielten Einsatz von Raumklang- und Echowirkungen beruhen. Eine Betrachtung des Kirchenbaus und der Konzeption der Inneneinrichtung im Abgleich mit der Aufführungspraxis der für ihn komponierten Musik in Wolfenbüttel kann wichtige Aufschlüsse zur Musik, Performanz und Architektur und den Wegen und Formen des Wissenstransfers im Verlauf des 17. und frühen 18. Jahrhundert liefern.
Martin Raspe (Rom): Wo sang Palestrina auf der Baustelle von Neu-Sankt Peter?
Der Titel des Beitrags nimmt auf die erstaunliche Tatsache Bezug, dass während der Lebenszeit des Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594), des einflussreichsten und bekanntesten Komponisten der römisch-katholischen Vokalpolyphonie, die Peterskirche in Rom als Raum für kirchenmusikalische Aufführungen nicht zur Verfügung stand. Bereits 1506, unter Papst Julius II., hatten die Arbeiten zur Neuerrichtung eines Renaissance-Domes an Stelle des ursprünglich spätantiken Kirchenbaues unter der Leitung des Architekten Donato Bramante begonnen. Der nach lebhaften Anfängen bald erlahmende Baufortschritt sowie zahlreiche Architekten- und Planwechsel hatten zur Folge, dass in Palestrinas Todesjahr 1594 die Kuppel zwar fertiggestellt war, die Vollendung und Weihe der größten Kirche der Christenheit jedoch noch weitere 32 Jahre auf sich warten ließ.
In dem im Bau befindlichen Kirchenraum gab es aufgrund der Bautätigkeiten keine Möglichkeit, vokale Chormusik aufzuführen, geschweige denn mit mehreren Chören zu singen. Das Petersgrab war von einem Schutzhaus umgeben, das keinen Platz für große Liturgien bot, und der verbleibende Rest des Langhauses war offen Wind und Wetter ausgesetzt. Die Capella Sixtina und die von Julius II. neu gegründete Capella Iulia, bei der Palestrina von 1551-55 und noch einmal ab 1571 das Amt des Magister Cantorum innehatte, waren gezwungen, auf andere Aufführungsorte auszuweichen. Die Beantwortung der Frage, wo im Umfeld von Sankt Peter im 16. Jahrhundert Aufführungen vokaler Kirchenmusik möglich waren, führt weiter zu der Frage, welche derartigen architektonischen Vorrichtungen, vor allem Sängeremporen, in Rom zur Zeit Palestrinas, üblich waren und in welchen Kontexten diese geschaffen wurden.
Ausgehend von diesen Überlegungen werden die architektonischen Voraussetzungen behandelt, die für die Kirchenmusik in Rom im 16. Jahrhundert, besonders im Umkreis Palestrinas, geschaffen oder geplant wurden. Dabei kommt der Capella Iulia, die wie ihr Vorbild, die Capella Sixtina, nicht nur eine Sängerkapelle, sondern auch ein Bauwerk war, eine Sonderstellung zu. Diese besteht in der Kombination einer päpstlichen Grablege mit einem liturgischen und kirchenmusikalischen Kontext. Wie sich herausstellt, ist das Vorbild für das Projekt Julius‘ II. in Sankt Peter selber zu suchen, und zwar in der sogenannten Cappella del Coro, dem Versammlungsort des Domkapitels, das Julius‘ Vorgänger und Onkel Sixtus IV. della Rovere errichtet hatte, weil der Chor der alten Basilika kein Platz für die Gottesdienste des zahlenmäßig stark angewachsenen Kapitels mehr bot.
Weitere Überlegungen werden der Ausstattung anderer bedeutender Grablegen mit Sängeremporen gewidmet. Es zeigt sich, dass auch die Grabkapelle Sixtus‘ IV. und das Juliusgrab nicht alleine stehen, sondern in eine größere Tradition von architektonisch-kirchenmusikalischen Ensembles gehören, die heutzutage nicht mehr deutlich erkennbar ist. In vielen Fällen dürften Einrichtungen für die Kirchenmusik zwar geplant oder zumindest vorgesehen gewesen, aber in der Folgezeit nicht vollständig ausgeführt oder tatsächlich genutzt worden sein. Daraus ergeben sich neue Forschungsfragen, die diskutiert, derzeit aber noch nicht abschließend beantwortet werden können.
Emanuel Signer (Cambridge): “to be performed together or apart” – Sacred space and instructive paratext in sacred music books printed in Italy c. 1580–1640
In the early sixteenth century, it was increasingly common in Italy for printed publications of music to include performance directions. The 1638 publication of Claudio Monteverdi’s Madrigali guerrieri et amorosi is famous in this regard, as some pieces include instructions how to place the performers in the performance space, using the term “genere rappresentativo” that so widely was received in historiography.
With increasing stylistic diversification in sacred music in Italy in the late sixteenth and early seventeenth century, printed publications of sacred music, too, were increasingly published with performance instructions. These could include information about the vocal and instrumental disposition of the performance forces, the use of the organ and other instruments, and about possible adaptations of the notated text to deviating performance circumstances. Suggestions regarding the use of the performance space for such music are rare, yet they exist, as in the famous “Dichiaratione del cantar lontano”, published in the Ignazio Donati’s Sacri concentus in 1612. This signifies that composers, editors, and printers recognised an increasing need to explain how a music book allow a most successful musical performance, and illustrates how the intention of the ‘author’ was increasingly present during performance situations of sacred music.
In this paper, I present several examples of such instructive paratexts informing about the use of space and provide context about the authors’ sacred architectural spaces. I discuss in which way spatial considerations of sacred musical performance were represented in the printed paratexts in Italian printed music books, and hope to explore the relationship of stylistic developments in the late sixteenth and early seventeenth century and to their representation in print, as well as to their architectural environment.
Roberta Vidic (Hamburg): (Re)compositional strategies and sonic architecture in Palestrina’s, Anerio’s and Soriano’s Missa Papae Marcelli
Palestrina’s popular six-voice Missa Papae Marcelli (1567) was the point of departure for recompositions by Roman composers such as Francesco Soriano (1609) and Giovanni Francesco Anerio (1619) for eight and four voices. A comparison between the three versions of the Kyrie I reveals interesting details about the (re)compositional process.
The preliminary question is, whether this particular case merely corresponds to a technical procedure of mono- or polychoral ‘rewriting,’ or whether the (re)compositional process has to be described as a real ‘reworking’ and referred to a work-concept. The main questions are then how thematic invention, counterpoint and form work together and how a multilayered concept of harmony shapes different spatial configurations of a musical idea.
The analyses draw on four recent research areas in Renaissance studies: 1. The connection between composition and improvisation in the stretto fuga both as phenomenon of pervasive imitation (Schubert 2012, 2014; Cumming/Schubert 2015) and in the Kyrie I of the Missa (Grimshaw 2012). 2. A historical (Zacconi 1622, Haar 1983, Owens 1997, 1998) and a systematical approach (Helmholtz 1877, Kursell 2015, 2018) to “harmony” in Palestrina. 3. The techniques of polychoral scoring both in Palestrina’s own polychoral rewritings (Filippi 2008) and in his use of “implicit polychorality” in the Missa (Della Sciucca 2009, 2012). 4. The concept of sonic architecture as the variable product of different intersections between compositional practice and architectural space. This implies considering modular composition (Schubert 2007) and sonic texture in Palestrina, either for its own (Filippi 2008, 2013) or in the sum of all factors influencing sound (Klangraum, Brieger 2011), together with polychoral practice in terms of a modular concept of space, architectural acoustics (Baumann 2015) and a multilayered “sound of cori spezzati in performance” (Bryant 2018), to which notational practices can be added as further aspect.
Overall, a deep “harmonic awareness” behind these (re)compositional strategies emerges that is often overshadowed by research on basso continuo. For this reason, my discussion will also consider an earlier Roman example of Costanzo Festa (1530s), in which “implicit polychorality” represents a pure means of variation, despite its eight-part composition. Festa’s composition doesn’t presuppose in fact a physical separation of the choirs. With Francesco Antonio Calegari’s arrangement of Palestrina’s Missa (1720) I will finally show a later Venetian example of polychoral performance practice that doesn’t actually request a re-scoring of apparently non-polychoral writing, but only regards the organ accompaniment and spatial distribution of the performers, instead. While Festa is highly representative for the papal music before Palestrina, Calegari was long-term maestro di cappella at foremost churches of the Franciscan order such as Sant’Antonio in Padua and Santa Maria Gloriosa de’ Frari in Venice – the latter with its famous still preserved cantoria before the main altar.
The paper argues for an understanding of the (re)compositional process as a generator for a variable synthesis in musical and physical terms. In this way, musical practice literally determines an expansion or reduction of music material in sound and architectural space.